The Leftovers - 1^ stagione: la recensione


Qualche volta ci capita di ritrovarci di fronte a certe opere, certi lavori d'arte, che ci affascinano, ci toccano nel profondo, ma non sappiamo il perché. Rimaniamo lì, fermi, zitti, con un vortice al posto del cuore che risucchia tutti i nostri pensieri, rimescolandoli, lasciandoci smarriti e increduli, come un bambino che per qualche attimo perde di vista la propria madre in un affollato centro commerciale. Non voglio esagerare o creare titoli sensazionali, ma The Leftovers rientra proprio in questa categoria.

Partiamo dal principio: chi c'è dietro questo serial? Tra i nomi ce n'è uno che spicca: Damon Lindelof, sceneggiatore e produttore televisivo diventato celebre grazie al serial drama più famoso e più seguito degli ultimi anni, Lost. Con un'eredità del genere abbastanza pesante, insieme a Tom Perrotta (l'autore dell'omonimo romanzo a cui si ispira), Damon ha voluto rimettersi in gioco e i risultati non sono mancati: The Leftovers ha subito attirato l'attenzione dei media e del pubblico, e puntata dopo puntata, ha saputo conquistare il cuore della gente. La sua mano è netta e più che evidente: a tratti sembra davvero di respirare l'aria di diversi anni fa, quando cercavamo di capire cosa diavolo fosse quell'isola.

Damon Lindelof,
co-ideatore
di The Leftovers
L'episodio da cui tutto ha inizio è semplice ma anche abbastanza drammatico: un giorno qualsiasi, improvvisamente, il 2% della popolazione mondiale sparisce, scompare, puff in un solo istante. L'impatto emozionale sulla gente restante è devastante. La serie comincia tre anni dopo quest'evento, esaminando la reazione e le vicende di un gruppo di cittadini della comunità di Mapleton. Ma attenzione: se vi aspettate che venga scoperto il mistero che si cela dietro questa scomparsa come una sorta di thriller, siete completamente fuori strada. The Leftovers non si pone quest'obiettivo. Gli sceneggiatori puntano abilmente la lente d'ingrandimento sui protagonisti della storia, e lo fanno con cura certosina, ma anche con una quasi "perversione" degna del miglior film di Lynch. The Leftovers prende i propri attori e li fa a pezzi, li sviscera, li squarta e li mette sotto i nostri occhi, come dire: prendete e traetene il vostro giudizio. L'atrocità è che ben presto scopriamo di non esserne in grado. Damon ci inietta nei nostri occhi e nelle nostre orecchie sequenze, immagini, rumori apparentemente senza senso, da cui vogliamo dannatamente una risposta che non arriverà mai. O per meglio dire, la risposta c'è già, ed è in ognuno di noi. Se vogliamo scoprire il senso di questo telefilm dobbiamo soltanto viaggiare dentro noi stessi, voltandoci e girandoci fino a quando non lo troviamo - o perlomeno crediamo di averlo trovato. Se invece aspettiamo che un aereoplanino sotto forma di cucchiaino ci venga diritto in bocca... allora è meglio cambiar canale, perché non arriverà mai. Lindelof e Perrotta non vi prenderanno mai per mano. Non vi guideranno mai. Non vi daranno né una bussola né le indicazioni per raggiungere la destinazione. Siete soli in balia di voi stessi. Una cosa un po' contorta e angosciante, ma dannatamente funzionale.

Max Richter, creatore
della colonna sonora
La prima stagione si dipana attraverso dieci puntate dalla durata di circa 50 minuti, e strutturalmente ricordano molto il suo - se così si può chiamare - genitore Lost. Non a caso spesso gli episodi sono "centric", ovvero focalizzati su un singolo personaggio, caratteristica tipica per l'appunto della serie televisiva ideata da J. J. Abrams. La chicca, a mio parere, è che tutto questo si congiunge con una splendida colonna sonora firmata Max Richter, compositore e musicista brittanico (autore già di diversi album e collaborazioni) che sa sapientemente miscelare elementi elettronici con strumenti classici e acustici, con risultati stratosferici. La musica è evocante e riesce a toccare le corde più intime della nostra sfera emozionale, ed è subito possibile accorgersene dallo splendido intro, un vero e proprio capolavoro che difficilmente si vedono in un media abbastanza popolare come quello dei serial televisivi.

The Leftovers tocca argomenti particolari e delicati, non propriamente facili: amore e odio, ma anche solitudine e depressione. Sia chiaro, non lo fa alla luce del sole perché qui di pappa pronta non ce n'è: è tutto racchiuso negli sguardi, nei dialoghi, nella reazione dei protagonisti, nelle sequenze oniriche. In particolare, gli sceneggiatori si soffermano sul perno che poi fa muovere l'intera vicenda: l'assenza. Cosa succede a ognuno di noi quando perdiamo qualcuno? Ma ridurlo a questa semplice domanda sarebbe troppo banale, perché The Leftovers è molto altro.

Con una media ascolti pari a circa 8 milioni di spettatori a puntata, HBO si è già assicurata la seconda stagione, annunciata per il 2015 inoltrato. Le premesse per un serial ricco e succoso ci sono tutte, e il mio augurio è che possa mantenersi sempre a questi livelli. Si può dire che è tutto nelle mani dei due ideatori Lindelof e Perrotta: l'importante è avere delle idee già chiare ed essere in grado di saperle imporre, senza cadere nella trappola di allungare il brodo con inutili brodaglie. Leggi anche: senza lasciarsi commercialmente condizionare.

2 commenti:

  1. Sto guardando la serie, è molto introspettiva. Ti fa pensare alle cose inspiegabili che ti capitano nella vita. E forse a come reagiresti. Come succede ai personaggi. Ognuno risponde a modo suo alle sparizioni. A volte alcuni passaggi sono oscuri, è vero. Però tutto questo credo serva a rimandare ad una visione più ampia del racconto. E della vita, poi. Vorrei leggere il libro.

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    1. Completamente d'accordo, è una di quelle opere da rivedere nel corso degli anni perché i particolari da cogliere sono decisamente tanti.
      Il libro ha stuzzicato anche me. Vedrò di recuperarlo anche se l'arretrato che ho da smaltire ormai è sconfinato...

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