Gli scontri che rovinano la rinascita di un'intera città


Quello che è successo a Bari negli ultimi mesi è una storia che persino gli sceneggiatori delle fiabe Disney avrebbero faticato a immaginare. Sì, perché tutto ciò che è accaduto ha veramente qualcosa di magico. I protagonisti sono una squadra di calcio sul baratro della retrocessione e con alle spalle una società dichiarata fallita che riesce, con sudore e sangue, a far riaccendere la passione di una città soltanto sopita e mai completamente spenta.

I tifosi tornano a riempire i sessanta mila posti del San Nicola e la squadra, dopo un trionfo sportivo degno delle migliori puntate di Capitan Tsubasa, riesce a conquistare un posto utile per i play-off e giocarsi, quindi, la promozione nella massima serie.

Il resto è storia più o meno recente: il Bari non passa, resta in B, ma la notizia più importante è che l'asta del titolo della società indetta dal tribunale ha successo. L'A.S. Bari diventa Bari Football Club 1908, e il nuovo presidente è l'ex arbitro barese Gianluca Paparesta.

Ho sempre vissuto il calcio di questa città - essendo poco più che ventenne - sotto la guida della famiglia Matarrese, e la quantità (e la bontà) delle operazioni della neonata società sono letteralmente saltate sotto gli occhi di tutti a paragone con quelle scrause e limitate della vecchia gestione. Senza fare inutili elenchi, si può sintetizzare dicendo che Bari è passata finalmente a essere una piazza ambita da giocatori e sponsor grazie a un modello di business che tanto sta avendo successo nel calcio tedesco. Ma questo è soltanto l'inizio.

Ieri si è giocata Bari-Avellino, sfida valevole per il terzo turno di Coppa Italia. Il risultato in campo - in questo contesto - è poco importante perché quello su cui mi volevo soffermare è ciò che è successo sugli spalti: dopo il lancio di alcuni petardi diretti un po' ovunque da parte di una manciata di tifosi irpini si scatena il putiferio. Seggiolini divelti, fumogeni e altro (vedi anche: sputi e insulti) vengono gettati per una decina di minuti da un settore, quello barese, all'altro, e viceversa, fino all'intervento delle forze dell'ordine.

In soldoni: un perfetto spot per il calcio.

Non voglio fare il classico buonista e partire con la solita tiritera sulla violenza degli stadi, ma la risposta di una frangia di tifosi baresi alla provocazione (che poteva rimanere sterile) di quella biancoverde è stata decisamente un buco nell'acqua. È notizia di questi giorni che dietro Paparesta, per sua stessa ammissione, non c'è nessun sceicco russo o indiano, ma soltanto partner e sponsor nazionali e internazionali che hanno creduto al suo progetto. Ancora in soldoni: a garanzia del suo programma ci siamo noi tifosi e la nostra intera piazza. Vale a dire che ciò che ci permette di restare a galla siamo noi stessi intesi come prodotto commerciale che Paparesta ha lucidato, impacchettato e infiocchettato nel miglior modo possibile. Scene come quella di ieri hanno come unico risultato quello di renderci meno appetibili al palato altrui. Era quindi davvero necessario?

Spesso si afferma troppo facilmente di meritare di più. In realtà ci si dovrebbe soffermare a pensare su chi siamo e da dove veniamo (come diceva il buon Giampiero Ventura) e poi, magari, chiedere qualcosa in più, senza cadere in scene come quella di ieri perfette per una rappresentazione fumettistica comico-grottesca: pensate a un omino che stacca un seggiolino dalle gradinate e sopra una nuvola con scritto "questo stadio cade a pezzi, ci vuole qualcosa di nuovo". Sì, veramente grottesco.

photo by: Paolo Margari

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